Pubblicazione n. 7
CAPITOLO VII
Le vaccinazioni
L’intensità mediatica e lo scontro civile descritto sono stati ulteriormente esaltati in Italia dall’avvio delle vaccinazioni. In teoria i media avrebbero potuto esercitare un ruolo semplice e univoco: diffondere al massimo nella popolazione il messaggio della utilità delle vaccinazioni, secondo le decisioni e prerogative del governo italiano e dell’intera UE, che notoriamente ha gestito in modo centralizzato i contratti con le case produttrici, l’approvvigionamento e la distribuzione delle dosi agli stati membri.
Chiunque immaginasse di dovere preparare a tavolino una campagna mediatica che abbia come scopo la persuasione di quanta più gente possibile a sottoporsi a inoculazioni vaccinali, circoscriverebbe il messaggio ai vantaggi medici ed epidemiologici, al concetto che i vaccini fanno ben sperare. Meglio sarebbe non sbandierarli fin dall’inizio come miracolistici, come la “sola strada”, “l’unica soluzione”, e ciò non per tiepida “fede scientifica”, ma per mantenere credibilità nel malaugurato caso – purtroppo scientificamente previsto – in cui i vaccini non dovessero funzionare granché. Restare autorevoli anche nel caso di flop dei vaccini – come governo che fa le scelte e le propaganda – sarebbe molto importante, al prioritario fine di mantenere comunque credibilità agli occhi dei cittadini nel proporre eventuali soluzioni alternative. È semplice: un impersonale, ipotetico ideatore della campagna mediatica, all’inizio si atterrebbe a una moderata cautela nelle dichiarazioni relative all’efficacia e tollerabilità dei vaccini, per mantenere eventualmente autorevolezza nel caso di scarsa efficacia, o rilevanza di segnalazioni avverse. Una campagna pro-vaccino razionalmente progettata si concentrerebbe sulla diffusione di delucidazioni pratiche (ad es. sede corporea dell’iniezione, intervallo tra dosi, logistica geografica delle sedi disponibili), di rassicurazioni generiche relative alla sorveglianza medico-clinica, sui vantaggi socio-economici dell’evitamento dei lockdown. Sarebbe dunque una campagna di propaganda istruttiva, con un preciso intento induttivo, la persuasione, e un risultato effettivo pragmatico: il massimo numero di adesioni alle inoculazioni.
Non è quello che è avvenuto in Italia. Il pubblico, già aduso quotidianamente agli esperti virologi della TV, è stato investito da molto prima della effettiva disponibilità sul mercato dei vaccini da una gran mole di concetti immunologici, biochimici, statistici, farmaceutici, infettivologici, geo-politici, macro-economici. Milioni di italiani si sono trovati coinvolti a dibattere, ad esempio, della nuova farmacodinamica a vettore da RNA messaggero, della significatività statistica di reazioni avverse ai vaccini segnalate giornalisticamente, del confronto tra terapie farmacologiche della malattia covid versus profilassi immunologica vaccinica, della strategia della “attesa vigilante” paragonata a quella delle terapie farmacologiche precoci a domicilio, e così via. Temi sorprendenti per un dibattito pubblico di massa. Non ci interessa tanto indicare qui l’evidente inadeguatezza di strumenti conoscitivi da parte della popolazione rispetto ad argomenti così specialistici: è del tutto ovvio che il 99,5 % dei dibattenti sui social, al bar, a tavola, non ha un minimo di basi per capire di cosa si parli davvero. È normale che sia così. Tutti discettano della farmacologia dei vaccini non perché ne capiscano, ma perché sono stati reclutati già da un anno al dibattito mediatico sul covid; si tratta del secondo tempo di una partita che è stata intensamente avvincente nel primo. L’intera popolazione parla di farmacologia immunologica come durante i mondiali parla del CT della nazionale.
Nel caso dei mondiali di calcio l’eccitazione delle masse alimentata dai media con partite in diretta e talk calcistici si traduce fattivamente in ascolti televisivi elevati, che creano attenzione sulla squadra (benevola o critica) e sono goduti commercialmente dai network che trasmettono. È una dinamica mediatica antica, classica: si crea attesa e attenzione per un evento che tocca su diversi piani l’interesse e la passione del pubblico, e lo si vende. L’obiettivo commerciale di chi trasmette è tenere attaccata alla TV quanta più gente possibile, così da attirare investimenti pubblicitari. Una campagna mediatica sul covid la si immagina invece – come appena indicato – di tipo istruttivo, tendente a indurre il più possibile l’acquisizione di norme e gesti pratici da parte del pubblico: il modo corretto di indossare la mascherina, il mantenimento della distanza fisica, l’evitamento degli assembramenti, come e dove fare il vaccino, ecc. Il dibattito di massa fiume, a trecentosessanta gradi, sulla proteina spike del covid, sulla nuova induzione anticorpale da RNA messaggero inoculato e il suo confronto con quella classica a virus attenuato, sulle sbalorditive scelte contrattuali chiuse dalla CE con le case produttrici, sulle complesse ricadute geopolitiche connesse alla scelta delle differenti marche disponibili, non ha seguito per niente lo schema razionale di una propaganda istruttiva, educativa. I media hanno tenuto il pubblico avvinghiato, appassionato al dibattito, come avviene per Juve-Inter, o Italia-Germania, e per fare ciò – volutamente o meno – gli hanno mostrato il bene e il male delle risoluzioni politico-esecutive prese, il bene e il male del lockdown, il bene e il male della scelta vaccinica, il bene e il male delle mascherine, il bene e il male delle ospedalizzazioni in terapia intensiva, e così via. Da un lato si osannavano gli eroi medici delle terapie intensive, ma dall’altro li si accusava di avere intubato erroneamente, o di avere fatto attendere in casa nell’inerzia l’aggravamento letale a pazienti infetti. Si chiedeva fiducia massima nel governo e nel CTS, ma si dedicavano trasmissioni a gravi accuse penali contro il Commissario Straordinario per l’Emergenza Covid. È stata messa in atto un’imponente campagna mediatica pro-vaccinazione travalicando le normali cautele che accompagnano l’immissione nel mercato di qualunque prodotto farmaceutico nuovissimo, ma sono state raccontate con eccitazione e sensazionalismo molti episodi di morti collegate cronologicamente al vaccino.
Un apice di contraddittorietà è stato raggiunto nel marzo 2021, quando l’intera popolazione italiana ha appreso della sospensione da parte di AIFA per alcuni giorni del vaccino Astrazeneca, a seguito della segnalazione di alcune morti a esso collegate, dibattute e pubblicizzate al massimo della potenza mediatica. Salvo tornare, lo stesso immenso pubblico, dopo due/tre giorni di sospensione, bersaglio di una rinvigorita propaganda pro-vaccino, secondo la quale sottoporsi ad Astrazeneca – dopo che AIFA si era limitata ad ampliarne alcune voci del bugiardino – sarebbe stata manifestazione di senso civico e di appropriata “fiducia nella scienza”. Ovvero, i media hanno terrorizzato mortalmente il pubblico su Astrazeneca ma allo stesso tempo gli hanno intimato di continuare a vaccinarsi con Astrazeneca per “senso civico”. È naturale che queste pressioni vengano percepite come incongruenti: infatti lo sono. E lo stesso pubblico fa fatica a capire perché non si possano precauzionalmente utilizzare solo le altre marche di vaccini disponibili. È del tutto conseguente e previsto che i “paranoicali” vedano in macroscopiche contraddizioni del genere motivi di conferma ed eccitazione delle loro congetture.
È notizia odierna (11 giugno 2021) la morte di una ragazza di diciotto anni per trombosi cerebrale in collegamento con il vaccino Astrazeneca, al quale la povera vittima si era volontariamente sottoposta, accogliendo la campagna governativa degli Open Day vaccinici per i giovanissimi. Il CTS dice oggi, ovviamente a posteriori, che forse è il caso di rivedere il proposito di vaccinare in massa anche i giovanissimi, i quali, se in un’ottica impersonale epidemiologica servono per raggiungere l’immunità di massa, come persone vere e proprie, singole, sono al momento praticamente intoccate dalla malattia covid. Ma al 7 settembre 2021 siamo già nuovamente alla posizione di partenza: mentre oggi sono scienziati britannici a ritenere sconveniente la vaccinazione di giovanissimi, il CTS e governo italiani ri-confermano invece che è indispensabile.
Si dovrebbe criticare, a nostro avviso, quella strategia comunicativa che per invogliare la gente a vaccinarsi si è mascherata da scienza, dismettendo agli occhi del pubblico il più possibile i panni del governo, della politica di governo: dire “fatti il vaccino, è la scienza che te lo consiglia” è stato considerato più efficace, e forse anche meno compromettente per chi ne è responsabile, del dire “fatti il vaccino, è il tuo governo che te lo chiede”. La scienza tuttavia non organizza Open Day (nel caso in esame associati a un ricatto sottotraccia del genere “se no questa estate senza green-pass non potrai viaggiare”) per indurre diciottenni a vaccinarsi contro una malattia che mai li colpirà severamente. Sono iniziative del governo, non della scienza. Attenzione: gli Open Day come proposta del governo per raggiungere l’immunità di gregge hanno la loro piena cittadinanza. Il nostro non è un discorso di merito. Il governo che organizza e propone iniziative in linea con i propri scopi fa il suo lavoro. Il nostro biasimo cade sullo spacciare mediaticamente queste iniziative come proposte della scienza: questo è, voluto o meno, un inganno. Che ha già prodotto nella popolazione danni culturali e pratici.
Il dibattito ha fatto un numero enorme, impensabile di proseliti, considerati i temi convenzionalmente non popolari; gli ascoltatori si sono via via sempre più appassionati e radicalizzati proprio perché hanno potuto rilevare un numero crescente di marchiane contraddizoni e acrobatici dietrofront nella strategia messa in atto dal Governo/CTS. Lo spettatore è stato chiamato dai media a farsi partigiano, a divenire egli stesso un acceso opinionista virologo, epidemiologo, statitistico, ecc., in una veste poi sempre di fatto griffata dal tifo per l’uno o l’altro dei partiti politici di governo od opposizione. L’informazione sui vaccini è stata dunque il più lontano possibile da quella campagna istruttiva teorica che abbiamo tratteggiato più su. Si è snodata invece più come un’appassionante telenovela, con tutto l’attaccamento, i colpi di scena, le simpatie per l’un personaggio e l’idiosincrasia per l’altro, l’entusiasmo e la delusione, la paura personale e il coraggio civile, tutti elementi tipici più del romanzo che del libretto di istruzioni. La scienza è stata utilizzata come il grande, nobilissimo sponsor di questa campagna: “il vaccino è sicuro, fidati della scienza!” è stato lo slogan/concetto originale. Il problema consiste nel fatto che gli stessi media che inneggiavano alla fiducia hanno prestissimo confermato che il vaccino potrebbe essere tutt’altro che sicuro, anzi letale. Il che è in sé un andamento normale, un capovolgimento prevedibile del modo di procedere della scienza. Ma avere usato la parola “scienza” come ariete persuasivo mediatico associando a essa i concetti di “verità definitiva” e “fiducia” ha gravemente compromesso la fiducia nella scienza. Il cittadino medio, in una prima fase, ha infatti creduto davvero che la scienza sia quella fornitrice di verità definitive, direttamente coinvolte nella sua incolumità fisica, che la propaganda mediatica ha scelto come sponsor. Alla popolazione è stato indotto un distorto concetto di scienza, quasi opposto rispetto a quello corretto. La scienza vera è quell’insieme di sforzi conoscitivi, metodologicamente organizzati, per sua stessa natura costituito da una dinamica di continue esperienze che si sovrappongono, si contraddicono, si alleano, poi divaricano, poi si rincontrano, in un ampio e mai univoco dibattitto per iniziati, ovvero per coloro che conoscono le regole semantiche di quel dibattitto, la sua metodologia intrinseca. La scienza è il contrario della verità certa sulla quale investire una fiducia tale da affidarle la propria vita. La scienza vera avrebbe detto pubblicamente dei vaccini: “Sono al momento l’unico tentativo farmacologico di contrastare la pandemia ma è del tutto ovvio che, trattandosi di prodotti nuovissimi, non si possono affatto escludere immediate e future reazioni avverse, né vi sono definitive certezze sulla efficacia nel medio e lungo periodo. Le sperimentazioni compiute fanno molto ben sperare, ma è evidente che il numero di persone che la vaccinazione globale si propone di raggiungere nel più breve lasso di tempo (miliardi) è immensamente grande rispetto a qualunque altro nuovo farmaco immesso sul mercato, risultando pertanto poco affidabile il rapporto tra i numeri di persone vagliate in fase di sperimentazione (i campioni) e il numero che si intende raggiungere in breve tempo con la vera e propria vaccinazione”. È evidente, lo sappiamo bene, che un testo del genere non è adatto alla sintetica comunicazione di massa, ma è proprio qui il nodo duro: la scienza vera non è adatta agli stilemi della comunicazione di massa. Affermazioni di questo tenore, inadatte ai media contemporanei ma genuinamente scientifiche, avrebbero avuto l’effetto di attenuare, alla comparsa delle reazioni avverse, lo sgomento del pubblico che fino al giorno prima si sentiva ripetere “il vaccino è sicuro: fidati della scienza!”. I media, il governo, hanno creduto che la semplificazione a “fidati della scienza!” del papello scientifico appena su tracciato avrebbe raggiunto molto prima e molto meglio il pubblico. Forse è avvenuto, ma il prezzo è stato il contrabbando culturale del concetto di scienza e l’alimentazione incontrollabile di dubbi, sospetti, conflitti, proteste sempre più intensi al sempre più martellante prosieguo di una informazione puntigliosa, a trecentosessanta gradi.
Affermiamo pertanto che il governo e i media italiani sono responsabili di un grave danno indotto nel pubblico, che ha due risvolti principali: 1) avere diffuso una concezione totalmente alterata di scienza; 2) avere compromesso l’adesione di ingenti numeri di persone alle stesse sollecitazioni governative per via di una campagna mediatica manifestamente ricolma di irreparabili errori comunicativi.
La vicenda vaccini ha un suo importante seguito in quella green pass, a nostro avviso il più concretamente deleterio effetto sociale e politico – a oggi, settembre 2021 – di tutta la epopea mediatica del covid in Italia.