PUBBLICAZIONE N. 8
Il green pass
Sul finire di luglio 2021 il Governo Draghi decreta il provvedimento noto in Italia come green pass, che diventerà poi attivo a partire dal 6 agosto 2021. Il green pass è una certificazione attestante l’avvenuta vaccinazione del singolo cittadino, la sua guarigione dall’infezione covid o, in alternativa, a ogni occasione specifica in cui sia previsto, la effettuazione recente di un tampone faringeo negativo: chi ne è sprovvisto è bandito da determinate situazioni sociali, in particolare – in quella prima fase, agosto 2021- dagli ambienti al chiuso pertinenti ristorazione e intrattenimento. Il cittadino che possiede il green pass può accedere al ristorante, teatro, cinema (nello specifico alle parti al chiuso di questi esercizi), chi ne è sprovvisto può accedere soltanto alle zone all’aperto degli stessi.
Lo scontro civile descritto si esacerba terribilmente. Una grande parte, forse maggioritaria, della opinione pubblica è in un primo momento segnatamente favorevole a questo provvedimento che discrimina di fatto tra chi può e chi non può accedere a un locale pubblico. Non si tratta, secondo costoro, di una violazione della uguaglianza dei diritti dei cittadini, ma anzi di una responsabile manovra protettiva della salute pubblica e, molti pensano, pienamente costituzionale (noi indichiamo il sentire comune, non il merito della vera e propria costituzionalità), per via di precise deroghe che la Costituzione prevede alla individualità rispetto alla collettività in tema di salute. Del resto – alcuni giudicano il merito specifico – entrare al ristorante o al bar non è poi così importante, e si irride da questa parte al “diritto all’aperitivo!”.
Per la fazione opposta si tratta invece di un atto politico molto grave, che segna l’apertura alle discriminazioni segreganti: è iniquo che un governo imponga queste differenze tra cittadini, evocando le escalation segregative dei tempi bui razzisti del Trentotto. Non si tratta solo dell’“aperitivo”, ma è il principio che ispira il provvedimento a mostrarsi chiaramente discriminatorio.
Dopo un primo momento di confusione, tutti sono però d’accordo su un aspetto: il green pass non ha praticamente nessun valore in sé come misura anti-infettiva. Lo confermano gli stessi esperti consulenti del governo. I vaccini, infatti, notoriamente non escludono affatto l’infezione del vaccinato e la sua contagiosità: forse ne riducono notevolmente la probabilità, forse no, non è chiarissimo questo agli occhi del pubblico, ma è ben chiaro che essi riducono drasticamente la possibilità di ammalarsi in modo grave, e quindi anche di sviluppare la necessità di essere ricoverati in ambiente ospedaliero di terapia intensiva. I vaccini funzionano bene, quindi, per quanto se ne sa al momento, come inibitori della malattia, non dell’infezione e dei contagi. Il green pass, di conseguenza, non è in sé affatto una efficace misura di isolamento epidemiologico degli infetti dai non infetti, poiché sia i vaccinati che i non vaccinati possono infettarsi e a loro volta infettare. Paradossalmente il green pass complica la tracciabilità dei contagi. È ufficialmente dichiarato, quindi, che il green pass non ha un significato anti-infettivo ma intende persuadere alla vaccinazione i riluttanti rendendo la loro vita sociale via via più difficile in assenza di essa. Un tentativo di forzare la “persuasione” tramite mirate oppressioni indirette. E le oppressioni che in agosto erano indicate umoristicamente come “diritto all’aperitivo”, dal primo settembre si allargano anche alla scuola (il personale tutto va incontro a sospensione rapidamente se sprovvisto), aerei, gran parte di treni e altri trasporti.
Tutta la questione vive alla luce di un dato di fatto legale essenziale: il vaccino anticovid in Italia non è obbligatorio, è facoltativo. Almeno fino a questo momento. Questo elemento di fondo complica e approfondisce lo scontro civile. Non si tratta più solo di “fobico/ossessivi”/vaccinisti/filo-governativi vs “paranoicali”/no-vax/contestatari, lo scontro si arricchisce di contenuti politici e ideali molto pregnanti, che indicheremo, ma che non è scopo di questa trattazione giudicare.
In ballo c’è la concezione stessa dello Stato e, in particolare, delle forme e delle regole di come questo possa e/o debba interagire con i suoi cittadini. I vaccinisti pro-green pass – in buona parte – vedono lo Stato come l’insieme della cittadinanza stessa, il popolo, che in questa situazione di emergenza deve pertanto normare se stesso sulla scorta del senso civico, di una morale della reciproca appartenenza e responsabilità tra cittadini. Una concezione imperniata più sull’etica civile che non su precise leggi, che non riescono mai a racchiudere in sé del tutto gli afflati etici, di coscienziosa reciprocità, di relazione con l’altro non solo normata ma vissuta. In questo sentire, il cittadino che non si vaccina è un capriccioso pericoloso per tutti gli altri cittadini, nei confronti dei quali egli ha dei doveri civili che hanno priorità sui suoi personali diritti legali. Il fatto che il vaccino non sia obbligatorio, che il singolo possa per legge scegliere di non vaccinarsi, conta poco: conta di più la frattura dell’afflato socio-civico. È chiaro che i sostenitori di questa ottica sono spinti da una radicata fiducia in quella che è la prerogativa specifica del caso, circostanziale: essi sono pienamente convinti che la vaccinazione sia il bene della nazione, e ne sono stati convinti, evidentemente, da ciò che hanno appreso dai media, dalla divulgazione. Non esiste infatti una “legge” che dichiari che il vaccino è il “Bene”, esistono molti dati scientifici variegatamente diffusi dai media che si pronunciano nel complesso vantaggiosamente nei confronti dei vaccini.
Sul versante opposto, a gruppi strenuamente convinti della inutilità immunologica del vaccino o addirittura della sua grave dannosità, riuniti sotto il termine giornalistico no-vax, si è aggiunta una fetta della popolazione che si oppone al green pass per motivi che sono distinti dal merito infettivo. Cittadini specificamente no-green pass, che non coincidono con i detrattori tout court dei vaccini e che sono spinti da motivazioni di etica politica dello Stato. Non accettano che questo imponga delle discriminazioni tra cittadini riguardanti la partecipazione alla vita sociale, e che perdipiù lo faccia in via indiretta, secondo una logica da essi ritenuta ambigua e ricattatoria. Se il vaccino non è obbligatorio per legge, essi affermano, è inaccettabile che lo Stato opprima con forzature discriminanti chi sceglie – dunque di diritto- di non vaccinarsi. Si tratta di una grave deroga al modo corretto, rituale di come le istituzioni debbano interagire con i cittadini. La concezione di Stato è in questo caso più formale: lo Stato non può darsi dei metodi e delle regole vaghe, improntate a quello che viene di volta in volta considerato il “buon senso civico” da una quota della popolazione, non deve affatto ammiccare a meccanismi normativi della vita sociale e pubblica differenti dalla legge, ispirati dalla opinione dominante del momento. Lo Stato è retto da leggi, sono queste, non solo nel contenuto variabile di volta in volta, ma nel metodo e nella equilibrata distribuzione di diritti e doveri tra Autorità e cittadini che la loro formulazione metodica prevede, la garanzia della tenuta sociale e politica della nazione. Se lo Stato – rappresentato in questo caso dal governo – ritiene indispensabile al bene della nazione il vaccino di tutti, deve assolutamente decretare l’obbligo vaccinale per tutti, mentre girarci intorno con pesanti ricatti discriminatori (peraltro dichiaratemente vani sul piano infettivo) è un’aberrazione oppressiva contro i suoi cittadini, quegli stessi che per legge sono liberi di non vaccinarsi.
Queste, in una sintesi tutt’altro che esauriente, le posizioni ideologiche e politiche che si scontrano. A noi interessa qui l’aspetto comunicativo.
Il green pass viene annunciato e decretato dal Governo Draghi in una fase in cui lo scontro civile descritto è già marcatamente in atto, rappresenta il quotidiano del dibattito pubblico italiano. È assurdo credere che i promulgatori non prevedessero che il green pass avrebbe radicalizzato sensibilmente questo scontro, non è credibile che il governo non possieda questa grossolana sensibilità nei confronti dell’opinione pubblica. È pertanto evidente che il governo decreta il green pass nonostante la certezza che questo avrebbe fomentato lo scontro: detto in altre parole il governo è responsabile volontario di un aggravio dello scontro civile. Lo fa evidentemente perché convinto che il beneficio indotto dal green pass sarà superiore ai rischi e ai mali che il conflitto civile potrebbe portare. Forse, riprendendo una tesi teorica indicata in precedenza, il governo crede di poter tenere il livello dello scontro a un livello tale che esso non sfoci in guerra civile e che però favorisca il mantenimento di un alto livello di attenzione pubblica sul covid. È notizia di ieri (9 settembre 2021) l’arresto da parte delle forze dell’ordine di un gruppo armato di terroristi no-vax, che secondo l’accusa programmavano attentati: la peculiarità dei soggetti componenti questo nucleo armato – ha affermato alla conferenza stampa un ufficiale della Polizia di Stato – è che si tratta di comuni cittadini incensurati e totalmente distanti da ambienti di estremismo politico. Lo scontro civile che, come abbiamo descritto, venne gradualmente partorito da tredici mesi di informazione martellante sul covid, si radicalizza e fa un salto in avanti per l’intervento di un decreto. Il governo si appropria da questo momento in poi, in uno stile che potremmo definire autoritario, della responsabilità dello scontro civile, scippandola al complesso dell’informazione mediatica. L’autorità politica mette – forse nel complesso con un effetto chiarificatore – la firma sotto a ciò che per la nostra tesi è il prodotto in Italia (lo scontro civile) della infinita campagna informativa/mediatica sul covid.