Pubblicazione n. 12
Governo Draghi
Il Governo Draghi, tralasciando le vicende prettamente politiche che ne portarono al varo, è connotato sin dall’inizio sul piano comunicazionale da due importanti elementi: a) l’autorevolezza indiscutibile di Mario Draghi stesso, sebbene egli sia una figura praticamente ignota al pubblico; b) le vaccinazioni. Di Draghi la gente di fatto non sa nulla, e la assoluta maggioranza degli italiani non ne conosce la faccia. Ma è famoso. Il nome stesso è suggestivo: temibili mostri, mai visti, che gettano fuoco dalla bocca. Tutto ciò che gli italiani sanno di Draghi sono le lodi che i media di tanto in tanto negli anni hanno decantato di lui come Presidente della Banca Centrale Europea, che ovviamente gli italiani, in media, non sanno cosa sia e a cosa serva. Draghi incarna, per fede a quanto dicono i media di lui, una straordinaria eccellenza italiana nel mondo e in particolare in Europa. Moltissimi italiani hanno mal digerito la UE negli anni pre-covid: essa è stata in gran parte vissuta come una grigia e indefinita ma potente entità finanziario-burocratica, piuttosto persecutoria del popolo italiano. I movimenti cosiddetti populisti si sono molto ingrossati agitando il vessillo dell’antieuropeismo, poi man mano divenuto anti -“austerity”, quella fase della politica economica UE basata sulla massima rigidità del bilancio, impopolare in Italia. Scoprire che un italiano è il migliore all’interno della UE stessa è per lo spettatore medio una specie di rivalsa patriottica, se non campanilistica, sulle antipatiche figure di Junker, Merkel, Moscovici. Potremmo dire che Draghi rappresenta per gli italiani, che in realtà non sanno chi sia e che danno per scontatamente affidabile la fama che i media decantano di lui, un paradossale vessillo del populismo: un populismo al contrario, non più antieuropeista, cioè che miri a de-italianizzare la UE abbandonandola, ma che invece la conquisti italianizzandola. Lui è l’unico che può farlo. Nessuno ha mai visto Draghi a un talk show, pochi conoscono la sua faccia, pochissimi – una estrema élite – sanno quali siano i suoi veri meriti. Mario Draghi è per gli italiani un illustre sconosciuto ma un autorevolissimo italiano in Europa. In realtà non si tratta di un assoluto inedito: il prof. Mario Monti, anni prima, comparve sulla scena politica in modo analogo, ma era diverso il contesto, quasi opposto: allora si era trattato di adeguarsi forzosamente all’“austerity” della già mal tollerata UE e lui era l’agente incaricato. Doveva europeizzare l’Italia, ruolo destinato alla più compiuta impopolarità.
Interessante è notare, dunque, come Draghi sia stimatissimo senza mai essere apparso mediaticamente agli occhi del grande pubblico. La sua fama, la sua assicurata “bravura”, non è stata costruita mediante apparizioni della sua persona sui media: no, è fatta da giudizi sul suo operato da parte di commentatori più o meno specializzati e affidabili che negli anni sono apparsi e che appaiono sui media. Si tratta di un meccanismo opposto a quello del leader politico contemporaneo: questo si fa, si costruisce, si forma quasi interamente apparendo in TV e su altri media. Sarebbe esistito il Berlusconi politico senza i mitologici scontri in TV vis a vis con i suoi avversari? Chi conoscerebbe Matteo Salvini se non guardasse la TV o frequentasse i social? Conte, a guardar bene, è una figura mediatica antitetica a Draghi. Quando apparve sulla scena politica fu per divenire direttamente Presidente del Consiglio, pur essendo un perfetto sconosciuto a tutti, e lo divenne alla stregua di una figura notarile priva di un effettivo peso politico personale, che garantisse un equilibrio di distribuzione del potere tra Lega e Movimento Cinque Stelle all’uscita dalle elezioni politiche del marzo 2018 (Governo Conte I). Conte diviene notissimo proprio apparendo in TV. Il suo discorso contro Salvini in Parlamento (caduta del Conte I) è la prima “botta” mediatica forte in suo favore. Ma sono le apparizioni a reti unificate di coraggioso condottiero solitario del popolo italiano nella lotta alla pandemia che lo rendono famosissimo. La fama, il consenso di Conte, come di quasi tutti gli altri personaggi politici contemporanei, è tutta legata alla comunicazione mediatica diretta della sua persona. Ma i media sono volubili, e molto autoreferenziali.
Draghi non appare in TV. Gode di fama nominale non connessa a immagine televisiva. Questa particolare fama, tutta intrisa di competenze “vere”, di fatti già “fatti”, di spessore internazionale garantito a scatola chiusa, di italianità non ciarliera ma di eccellenza esportata nel mondo, è potenziata dalla scarsissima mediaticità del personaggio: in TV andava Renzi, in TV va compulsivamente Salvini, in TV si è creato – dentro a una surreale bolla emergenziale a reti unificate – Conte. Tutti personaggi che, dopo una più o meno lunga masticatura, un gaudente o glorioso ingoio, e una rapida digestione, sono stati più o meno escreti. Il loro bisogno di apparire sui media per esistere è stata la loro più micidiale debolezza, perché li ha sottoposti a una rapida dinamica di “consumo”. Draghi è l’opposto. Sa, evidentemente, che per mantenere autorevolezza deve coltivare la suggestione della competenza che non va a cianciare in TV: sa bene, forse, che la sua autorità politica è basata sul non essere mai apparso e quindi si guarda bene dal troppo apparire in TV. Draghi ruba di fatto posizioni di potere ai media non apparendo sui media. Tende a riportare al primo posto il potere esecutivo e a ri-piazzare al quarto, o magari al secondo/terzo, quello mediatico. Draghi è potente proprio perché non è mediatico.
Le vaccinazioni iniziate in Italia nel gennaio del 2021 hanno in due/tre mesi fatto esplodere colossali, pirotecniche polemiche collegate a gigantesche cantonate (o furbate, dipende dalla prospettiva) mediatiche. Abbiamo precedentemente ricordato l’incredulità con cui il pubblico apprese delle clamorose leggerezze commesse dalla CE nel redigere i contratti con le case produttrici; abbiamo rievocato i tanti colpi di scena a cicli rapidi sulla pericolosità del vaccino Astrazeneca, con tanto di sospensione da parte di AIFA; le terrificanti notizie diffuse a tonnellate dai media su presunte morti da vaccino. A ciò si aggiunse la campagna marcatamente denigratoria del principale responsabile di allora, il dott. Arcuri, e la strombazzata inefficienza dell’intero apparato nazionale adibito alla vaccinazione sotto la guida Conte. Questi elementi furono ovviamente determinanti nell’approfondire il solco tra italiani, alimentare quel conflitto che è centrale nella nostra trattazione.
Draghi sin dall’inizio sceglie di dare dei segnali poco rappacificanti: il Generale Figliuolo, se da un lato con la sua divisa demodé, e addirittura la penna dell’alpino sul berretto, si ricollega a una idea antica ma viva nel subconscio nazionale di efficienza sicura ma entro certi limiti bonaria dell’esercito italiano, molto distante dalle ciarle dei politici da talk show, sicuramente incarna con la sua figura una volontà ferrea e marziale – in quanto militare – di massimizzare a tutti i costi la diffusione dei vaccini. Non c’è il minimo spazio per una mediazione, per un aggiustamento con i perplessi, gli impauriti, e con i veri e propri no-vax, sebbene questi siano milioni. Il Governo Draghi diventa nell’immediato l’autorità politica che istituzionalizza quel conflitto civile tra italiani che fino a poco prima viveva soltanto nella dimensione propria dei media. Se ne appropria e lo eleva, così facendo, a vero e proprio conflitto politico-sociale. Mentre scriviamo (9 ottobre 2021) sono in atto disordini nel centro di Roma su cui sono concentrate tutte le testate giornalistiche. Da una manifestazione no-green pass molto grande e partecipata, nella quale si contesta l’obbligo della carta verde per lavorare, che scatterà per ordine del Governo Draghi dal 15 ottobre, si sono mossi alcuni gruppi di persone che hanno invaso e vandalizzato la sede centrale romana della CGIL. Questo gruppo sarebbe capeggiato da esponenti noti di Forza Nuova, formazione di matrice fascista. Non c’è un emblema di scontro più politico di questo: i “fascisti” no-vax contro i “comunisti” di CGIL, accusati di avallare il giogo green-pass del governo contro i lavoratori non vaccinati. Non è più solo polemica social: è, sebbene più mediaticamente che fisicamente, scontro politico violento. Guerra civile.
Altra vicenda di grande rilievo è quella del porto di Trieste: una cospicua parte dei lavoratori insieme a numerosi altri cittadini generici aveva instaurato nel porto (siamo più avanti nel tempo, dal 15/10/’21) una protesta anti-green pass con un blocco/riduzione a oltranza della operatività, blocco che è stato sfollato dalla polizia con l’utilizzo di lacrimogeni, getti d’acqua di idranti e alcune cariche. Episodio che cortocircuita i tradizionali schematismi politici introiettati nei decenni precedenti: per l’informazione attualmente dominante, filo-governativa, i gruppi no-green pass sarebbero i “fascisti”, ma essi rispondono di essere invece vessati da un governo autoritario e di opporre “resistenza” in favore della libertà dei lavoratori, tipica storica rivendicazione della Sinistra.
Draghi è il capo di un governo nel quale i partiti che ne compongono l’assetto sembrano essere solo formalmente l’alimento, soltanto in un’apparenza istituzionale l’ossigeno del Draghi Presidente del Consiglio. In concreto i rapporti di potere si manifestano ribaltati: i partiti sopravvivono alla loro stessa incapacità di dare autonomamente un governo stabile ed efficiente al Paese grazie al fatto che Mario Draghi ha gettato loro un salvagente non politico e non mediatico: se stesso. Il Governo Draghi, forte di questo assetto piuttosto autoritario travestito da Solidarietà Nazionale, sembra riportare sin dall’immediato del suo insediamento l’informazione generale inerente il covid a una gerarchia più rigida. Dalla primavera del 2021, essendo ferrea la volontà politica della massima diffusione delle vaccinazioni, i media sembrano ricondotti a un ruolo meno libero e autoreferenziale: divengono più omogeneamente semplici amplificatori delle direttive del governo. Tornano a fare più i mezzi di comunicazione di massa che i redattori dell’informazione pubblica.
I media crearono e alimentarono con la perenne informazione il conflitto civile, ma ora c’è un governo forte, forte perché guidato da un uomo forte, che scippa la gestione di questo conflitto ai media e, pur di perseguire i propri obiettivi, se ne fa il titolare, senza remore e delicatezze. Questo atteggiamento diviene addirittura eclatante con la promulgazione in estate del green-pass. Come detto su, con questo provvedimento il Governo Draghi decide in modo premeditato, ma evidentemente a suo giudizio giustificato dai benefici attesi, di gettare tonnellate di benzina sul fuoco del già vivissimo conflitto civile.
Sebbene con una lacerante ambiguità legislativa, costituita dai ricatti lanciati contro i riluttanti al vaccino mediante il pesante restringimento della loro vita sociale e pubblica in assenza del green pass, il Governo Draghi in realtà riporta l’esecutivo a capo del dibattito pubblico, si rimette all’apice di una gerarchia comunicazionale in cui i media sono più strumenti nelle mani del potere politico che non organi autoreferenziali di potere mediatico. Draghi, virando notevolmente verso l’autoritarismo e sfidando apertamente il conflitto civile, e quindi emarginando e additando i no-vax e i no-green pass, riporta la comunicazione mediatica a una logica più chiaramente divulgativa e istruttiva. Persegue i propri obiettivi governativi e per fare ciò utilizza i media.